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La madre in carcere con il figlio?

29/08/2017 by Bambinisenzasbarre in Notizie
La madre in carcere con il figlio?

Mari Corbi risponde nella sua rubrica (La risposta del cuore) a una madre che “quasi sicuramente finirà dietro le sbarre” e che le chiede “Non crede che si debbano trovare forme di pena alternative per chi ha figli? Non crede che la maternità, anche se di una «colpevole» debba essere tutelata e rispettata? Che i bambini debbano essere lasciati con le loro mamme in luoghi consoni?” Di seguito interviene Bambinisenzasbarre.

La madre in carcere con il figlio? Degno di un Paese incivile

Gentile Maria, chi le scrive è una madre che tra pochi mesi quasi sicuramente finirà dietro le sbarre. Spero sempre in una sentenza definitiva favorevole, ma non ci conto. Inutile in questa sede dirle che sono innocente. Non è per questo che le mando questa lettera ma per chiederle se ritiene giusto che a pagare per colpe non loro siano i bambini. Come sa seguono le madri in carcere a meno che non si decida diversamente e allora vengono affidati a un parente. Fino a tre anni. Poi la separazione definitiva. Mi rivolgo a lei perché l’ho vista sempre molto attenta ai diritti dei detenuti e delle persone più fragili. Già prevedo quali commenti scatenerà questo aggettivo, «fragili», e quanta rabbia aizzerà sui social visto che si sta parlando di detenuti. E quindi di persone che hanno sbagliato. Non crede che si debbano trovare forme di pena alternative per chi ha figli? Non crede che la maternità, anche se di una «colpevole» debba essere tutelata e rispettata? Che i bambini debbano essere lasciati con le loro mamme in luoghi consoni? E certo non lo sono le celle delle prigioni italiane che non sono «consone» per nessuno. Io guardo tutte le mattine la mia piccola e non posso pensare a separarmi da lei, ma soprattutto so quanto soffrirebbe. Ha poco più di due anni e quando mi abbraccia sento che prende da me la sua forza, il suo equilibrio. Mi dicono che i bambini si adeguano a tutto, che anche lei troverà nuovi punti di riferimento quando saremo divise. Perché io, anche se potessi portarla con me qualche mese, non voglio farla entrare in carcere. Non è giusto. I bambini sono innocenti. E hanno diritto alle loro mamme. Italia

MARIA CORBI. Carissima, hai ragione. I bambini non devono conoscere l’orrore del carcere e nemmeno il dolore della separazione dalla madre. Alla fine dello scorso anno erano circa 40 i minori rinchiusi. Alcuni dei quali negli Istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Anche solo uno sarebbe troppo. Per una questione di umanità ma anche di civiltà. Perché rendere «umane» le pene, evitare che in qualsiasi modo assomiglino a una vendetta, a una resa dei conti, rende un Paese degno di essere definito «civiltà avanzata». Purtroppo noi, l’Italia, non lo siamo. Almeno secondo me. Per il problema che hai sollevato tu, ma prima ancora per la situazione delle nostre carceri. Sovraffollate e fatiscenti. In questa estate di caldo torrido i detenuti boccheggiano. E quando i ventilatori arrivano, come nel carcere fiorentino di Sollicciano, rimangono in deposito come hanno denunciato i radicali. In attesa di Babbo Natale e della neve? Non si sa.
Quello che è certo è che per i detenuti non esiste pietà. Hanno sbagliato? Devono soffrire. E nemmeno per le madri esiste pietà. Non solo da parte delle istituzioni, ma anche (purtroppo) di una buona fetta dell’opinione pubblica per cui la pena viene ancora concepita come «restituzione del male fatto». La legge del taglione è dura a morire. Quindi ben venga una cella dove non c’è lo spazio per muoversi, umida, scalcinata. Ben vengano madri che tengono in pochi metri quadri i figli o separate da loro. Se lo sono meritato. Siamo un Paese cattolico dove però il concetto fondante del perdono viene ignorato. E invito tutti a leggere un libro di Luigi Manconi, «Abolire il carcere, una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini» (Chiarelettere).
Sono tante le storie che mostrano come quando si esce dal carcere, si è peggiori di quando si è entrati. La pena si mostra «in carcere nella sua essenzialità quale vera e propria vendetta», sottolinea Manconi. «E in quanto tale priva di qualunque effetto razionale e totalmente estranea a quel fine che la Costituzione indica nella rieducazione del condannato». L’alternativa? Deve partire dall’idea, come sostiene il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, che «il carcere da regola dovrebbe diventare eccezione, extrema ratio». A iniziare dalle madri.

Interviene Lia Sacerdote, presidente Ass. Bambinisenzasbarre onlus:

La paura di finire in carcere con la propria figlia di due anni la conosciamo bene per aver seguito molte donne come lei in questi oltre 15 anni di impegno per tutelare il mantenimento del legame dei figli con la mamma o il papà in carcere e perché la condizione temuta da Maria non si debba verificare. Un lavoro di advocacy che chiede il rispetto dei principi fondamentali delle convenzioni internazionali dei diritti umani, prima fra tutti la Convenzione ONU dell’infanzia e dell’adolescenza. In questi anni sono stati fatti dei passi anche significativi nella prospettiva di un cambiamento e la condanna dell’Europa ha accelerato questo processo arrivando ad approvare una legge (Legge 62/2011) che consente misure alternative al carcere (salvo esigenze eccezionali) per le madri di minori fino a 6 anni di età (estensibili a 10) e quindi Maria non dovrebbe andare in carcere.

Diciamo non dovrebbe perché questa legge, che riguarda le donne detenute con figli, ha disatteso le forti aspettative di cambiamento, non è infatti riuscita a eliminare la presenza dei bambini nei nidi all’interno delle carceri, invece di privilegiare le misure alternative in Case famiglia protette e lasciando solo come estrema ratio la detenzione presso gli Istituti a Custodia Attenuata per Madri (ICAM).

Siamo consapevoli che le leggi non bastano a cambiare la realtà delle cose, se non sono accompagnate da una trasformazione culturale che le sostenga. Sappiamo quanto sia cruciale questo aspetto quando si tratta di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e quando il principio da rispettare è che il benessere del minore viene prima di qualsiasi altro interesse e quanto la resistenza al cambiamento sia più forte di fronte all’illusione, e all’equivoco, che il carcere sia la risposta al bisogno di sicurezza che la società richiede.

In questa prospettiva trasformativa è stato firmato (e rinnovato nel settembre 2016) il “Protocollo d’intesa-Carta dei figli di genitori detenuti” dal Ministro della Giustizia, Andrea Orlando e dalla Garante nazionale dell’Infanzia, Filomena Albano (e da Bambinisenzasbarre) perché i bambini, come la figlia di Maria, non vengano puniti per una colpa non loro e abbiano diritto alla propria mamma e al proprio papà anche se detenuti. È la prima Carta in Europa a tutela dei bisogni di questo gruppo di minori.

Con queste premesse si deve registrare che il quadro normativo si è recentemente completato con l’approvazione di una nuova Legge, la 103 in vigore dal 3 agosto scorso e sono state istituite le commissioni per redigere i Decreti attuativi per renderla operativa e potrebbero contenere le disposizioni innovative, da tempo auspicate, che riguardano i rapporti genitori e figli, la loro valorizzazione e la tutela dei diritti dell’infanzia coinvolta.
In attesa che condizioni come quelle indicate da Luigi Manconi nel suo libro “Abolire il carcere”, promotore tra l’altro di questa Carta dei diritti, trovino terreno fertile, “incitiamo” il Governo e le commissioni a non perdere l’occasione unica di una nuova riforma dell’ordinamento penitenziario che potrebbe essere storica in molti sensi ma soprattutto in termini di diritti umani.

Article by: Bambinisenzasbarre

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