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L’articolo su ‘La partita con papà’ del New York Times – IN ITALIANO

Sbarre alle finestre, risate in campo

Un’organizzazione no-profit italiana organizza partite di calcio all’interno delle carceri del Paese nel tentativo di favorire le relazioni sane tra i detenuti e i loro figli.

di ANDREW KEH, 15 dicembre, 2017
fotografie di Clara Vannucci
ha collaborato Brando de Leonardis

traduzione in italiano: Bambinisenzasbarre
L’articolo originale è stato pubblicato sul sito del New York Times

MILANO – Il ragazzino di 5 anni ha inseguito suo padre intorno al campo da calcio in cemento, con i capelli che gli ricadevano leggeri sugli occhi. Intorno a loro le urla e gli strilli degli altri bambini e i fischi acuti di un arbitro creavano una cacofonia ipercinetica che ricordava qualsiasi campo giochi.

In quel momento, sembrava quasi possibile –dico, quasi – dimenticare le sbarre di metallo alle finestre della stanza spartana, ignorare le guardie che sorvegliavano silenziosamente e sperimentare, brevemente, l’illusione della libertà.

Andrew Keh, giornalista del New York Times, raccoglie testimonianze nella giornata de “La partita con papà” (foto redazione Bambinisenzasbarre)

Il padre, Sebastiano Russo, 45 anni, è detenuto nel carcere di Opera, una struttura di massima sicurezza qui alla periferia di Milano, dal 2015, una circostanza che suo figlio minore non comprende appieno. La moglie di Russo, Rosa Bianca Cappelletti, ha detto che il ragazzino era solito chiamarla “la casa di papà”. Ultimamente la chiamava “la gabbia di papà” e chiedeva perché non potesse vedere suo padre più spesso.

La vista dei due che tiravano calci al pallone nella fredda palestra di cemento della prigione lo scorso pomeriggio l’ha emozionata.
“Ho le lacrime agli occhi”, mi ha detto la signora Cappelletti a bordo campo. “È bellissimo.”
Una volta all’anno, dal 2015, Bambinisenzasbarre, un’organizzazione no-profit italiana, organizza queste partite di calcio all’interno di dozzine di prigioni in tutta Italia.
“La Partita con Papà” – questo il nome dato all’iniziativa – , con le partite di calcio crea un raro momento di normalità, di umanità all’interno delle mura delle carceri italiane. Ma riflette anche la convinzione di Bambinisenzasbarre che i bambini dei detenuti hanno il diritto umano a mantenere le relazioni con i loro genitori.
“Forse noi detenuti non sappiamo nemmeno come sia davvero il carcere”, ci ha detto Maurizio, 39 anni che è a Opera dal 2014. “La vera punizione del carcere non è per noi. È per le persone che amiamo.”

Maurizio ha chiesto che il suo cognome non venga pubblicato, perché i suoi processi, per vari reati incluso l’omicidio, non sono ancora finiti. Il giorno delle visite questo mese tremava all’interno della palestra scarsamente illuminata mentre aspettava l’arrivo di sua moglie e di due dei suoi figli, di 13 e 7 anni. (Il più grande, che ha 19 anni, era al lavoro.)
Maurizio era in calzoncini e calzettoni dell’Inter e lo spazio attorno a lui era freddo come una cella frigorifero. Come gli altri padri qui, è stato scelto per prendere parte alla partita per la sua partecipazione con profitto ai programmi di Bambinisenzasbarre a Opera.

“La partita con papà” nell’Istituto di Opera, Milano (foto redazione Bambinisenzasbarre)

 

È la seconda volta che Maurizio gioca la partita, che dice aver dato “un po ‘di vita” – o almeno qualcosa di più vicino alla vita reale, comunque, del sedersi a un tavolo con la sua famiglia durante le monotone ore di visita, che sono il suo unico altro contatto faccia a faccia con loro.
Il suo volto si è aperto in un sorriso quando finalmente sono arrivati. Ha passato le dita tra i capelli del ragazzo più grande e gli ha toccato il viso. Ha messo il braccio muscoloso e tatuato attorno al collo del figlio più giovane e lo ha baciato in fronte. Continuava a guardare fisso negli occhi sua moglie. Le continue carezze erano il suo sforzo, ha detto, “per far sentire loro il mio amore”.
Dopo i bambini e i loro padri sono stati divisi in due squadre e si sono avviati verso il centrocampo in due file diritte, salutando una folla di fan immaginari, come fanno i giocatori professionisti in uno stadio pieno di gente. Il gioco era casuale e disordinato, ma questa mancanza di regole formali era proprio l’obiettivo della giornata. Poi le famiglie hanno avuto il tempo di sedersi e parlare. Altri hanno continuato a giocare con le altre attrezzature della palestra.
“Hanno preparato le borse per una settimana”, ha detto una madre a proposito dei suoi ragazzi. “Questo accade nella vita di tutti i giorni fuori dalla prigione, ma è qualcosa a cui non siamo abituati. Per noi è molto emozionante.”

Scene simili si sono svolte questo mese in oltre 50 prigioni in Italia. Lia Sacerdote , fondatrice e presidente di Bambinisenzasbarre, ha detto che spera di vedere eventi simili in tutte le 193 prigioni del Paese e anzi ha proposto che tutti i membri della rete europea COPE (Children of Prisoners Europe) adottino l’iniziativa delle partite in carcere.
“Questi bambini sono emarginati”, ha detto Sacerdote. “Si sentono in colpa per qualcosa che non hanno commesso”.

Il giorno dopo la partita di Milano, le famiglie di circa due dozzine di detenuti sono entrate nel cortile del carcere di Secondigliano, una struttura di massima sicurezza nella periferia di Napoli, per un’altra partita. La pioggia del mattino aveva lasciato chiazze di fango sul terreno. Gli edifici che ospitavano gli altri detenuti torreggiavano sul cortile e i detenuti agitavano le braccia attraverso le sbarre delle finestre, mentre osservavano l’attività sotto di loro.

La fotografa, del New York Times, Clara Vannucci sul campo dell’istituto di Secondigliano, Napoli, durante l’incontro de “La partita con papà” (foto redazione Bambinisenzasbarre)

 

Alcuni detenuti dimostravano di avere discrete abilità di gioco, ma anche questa era solo una occasione semi-seria. Diversi giocatori durante la partita si allontanavano dal campo per baciare mogli e bambini. Quando la partita è finita, le famiglie hanno fatto dei capannelli attorno al campo e si sono messe a mangiare sfogliatelle. Le guardie guardavano da lontano, appena visibili.
“È una delle poche opportunità che hanno per vivere una situazione normale, come quelli che stanno fuori”, ha detto Carmen Forino, uno dei vice direttori di Secondigliano.
Per i detenuti, però, il normale può sembrare straordinario.

Negli ultimi anni, il sistema carcerario italiano ha preso consapevolezza, riconosciuto e affrontato le questioni del sovraffollamento e dello scarso trattamento dei detenuti. In mezzo a questo sforzo diffuso, Bambinisenzasbarre ha difeso i bambini figli di detenuti, promuovendo lo sviluppo di laboratori e spazi educativi all’interno delle mura della prigione per facilitare le relazioni tra genitori e figli.

L’assenza di tali relazioni ha conseguenze negative di vasta portata, sostiene Bambinisenzasbarre. I bambini dei detenuti hanno maggiori probabilità di andare in prigione o di abbandonare la scuola e sono più predisposti ad incorrere in una serie di altri problemi sociali. In Italia, ad esempio, la partecipazione al crimine organizzato spesso abbraccia intere generazioni di una famiglia.
Una relazione sana e positiva con un genitore, quindi, “è uno strumento per prevenire il crimine”, ha dichiarato Martina Gallon, psichiatra di BambiniSenzasBarre. “Dobbiamo rompere il modello negativo.”

Gli abbracci durante “La partita con papà” nell’Istituto di Secondigliaino, Napoli (foto redazione Bambinisenzasbarre)

 

Lavorando con i detenuti Martina Gallon cerca di creare ambienti in cui padri e figli interagiscano direttamente tra loro senza le madri – una rarità nelle visite nelle prigioni degli uomini. Per promuovere la comunicazione, lei e i suoi colleghi usano delle attività per sciogliere la tensione, come l’arte e, più recentemente, il calcio.

Sul campo da calcio quel pomeriggio a Milano, Sebastiano Russo ha approfittato di ogni momento di tempo libero. Prendeva suo figlio e lo faceva volare. Ha lasciato passare il pallone tra le sue gambe e gli ha fatto fare gol. Poi quando gli è stato mostrato un finto cartellino rosso, è uscito dal campo e ha baciato sua moglie Rosa Bianca attraverso la rete a bordo campo.
“I bambini ti danno la forza di sperare e guardare avanti”, ha detto Russo, che potrebbe rimanere in carcere fino al 2026 per la sua partecipazione a un traffico internazionale di droga. “Attraverso i miei figli, sono in grado di vedere ciò che voglio diventare, l’uomo che voglio essere.”

Il sole è calato presto attraverso le finestre della prigione e all’interno della palestra si è fatto silenzio mentre l’evento si avvicinava alla fine. A tratti sembrava che l’unico suono nella stanza fosse quello di energici baci sulle guance.
Quando poi è stato il momento di lasciare le famiglie, i padri si sono accalcati intorno ai cancelli di metallo della palestra, salutando, soffiando baci e arricciando le dita a cuore. I bambini e le loro madri si sono trascinati lungo l’umido e buio corridoio verso l’uscita e le porte si sono chiuse dietro di loro.

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